domenica 27 gennaio 2013

Povere o ricche noi?


Sono sempre molto sensibile, da donna, alle istanze vagamente riassunte dallo 
slogan "pari opoortunità". 
Nel mio lavoro, che tratta anche di lavoro altrui e così pure personalmente, posso testimoniare quanto penalizzante sia il fattore "femminilità", precludendo possibilità di sviluppo in tanti, troppi ambienti ... ed agevolandone l'esclusione per quella bomba ad orologeria che (dal punto di vista contrattuale ed aziendale) rappresenta il fattore-rischio maternità (cui sei esposta a prescindere). Gli aspetti dell'essere donna in ambiente lavorativo, naturalmente, spaziano molto oltre ... e devo riconoscere come spesso le donne stesse ne siano complici ben poco consapevoli.

Cionondimeno, resto fermamente convinta che fino a quando da vari pulpiti qualcuno di sentirà in dovere e diritto di reclamare per l'esclusione di donne da seggi pubblici o da poltrone aziendali, fino a quando si  inneggerà alle quote rosa se una di essa sarà risultata "vincente", fino a quando si strumentalizzeranno i cortei in piazza, non faremo che vagabondare su strade troppo divergenti dalla sospirata  "parificazione".

Guardo dietro di me a situazioni che narrano secoli e millenni di antropologia e storia umana, e provo disagio nel temere che la realizzazione della mia vision sarà lontana tante, troppe generazioni da noi. 
La mia vision è una donna così parificata - nelle sue possibilità - a quelle dell'uomo, che non si scomporrà più per un Cda di soli uomini perchè si tratterà - stavolta "per davvero" - di pura e semplice fatalità, di una coincidenza di fattori.

Tenendomi salda alle mie convinzioni (eppure sempre felice, se qualcuno mi facesse pensare a diverse prospettive), tristezza e desolazione mi prendono anche quando vedo spettacoli come questo, che tutto fanno, fuorchè condurre la donna ad un traguardo dignitoso e di rispetto.
Rispetto e dignità da parte di sè stessa, prima che da parte altrui.


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